Emergenza personale nel turismo, intervista all’esperto

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“Da più di 10 anni porto avanti una battaglia per denunciare le condizioni di sfruttamento del personale impegnato nel turismo, ed ora i nodi stanno venendo al pettine, nel momento in cui le strutture ricettive ed i ristoranti si trovano ad affrontare una vera e propria emergenza, rischiando di non poter lavorare”.

Enrico Camelio è un esperto del settore, laureato in Economia dei Servizi turistici e docente alberghiero, è impegnato in Master Universitari di Luiss, Sapienza, Coquis Ateneo e Antonello Colonna. Dal 2018 cura la rubrica sull’alta ristorazione e viaggi per RadioRadio. Ieri è stato in Costiera, a Marina del Cantone, la spiaggia dei vip di Massa Lubrense, per partecipare ad una tavola rotonda organizzata dall’associazione Ristoratori Lubrensi guidata da Francesco Gargiulo sul tema “Benessere del personale”. Incontro moderato dal giornalista gastronomico e firma de Il Mattino, Luciano PIgnataro.

Per le aziende è sempre più difficile trovare addetti, per quale motivo?
“Le cause sono molteplici. Un elenco lunghissimo. Dalle scuole alberghiere che sono un disastro a docenti impreparati, dallo sfruttamento a tutti i livelli al reddito di cittadinanza”.

Andiamo per ordine allora. Ha accennato agli istituti professionali che non sono all’altezza del compito.
“Proprio così. In Italia c’è un boom di scuole alberghiere. Sono 150 con relative succursali. In totale quasi 130mila studenti. Dovrebbero essere tutti impegnati nel turismo. Ma dove sono?”.

Non riescono a trovare sbocchi occupazionali nel settore al quale speravano di dedicarsi.
“Il problema è che negli anni si è ridotto sempre più lo spazio che questa istituti riservano alla pratica. Ora siamo al 30 per cento di quello che si faceva in passato. Senza un’adeguata formazione non si va da nessuna parte e questi ragazzi devono guardare altrove”.

A fornire la preparazione dovrebbero essere gli insegnanti.
“Peggio delle scuole. Molti docenti di pratica non sono preparati a far apprendere il mestiere ai giovani. Per iniziare ad insegnare basta essere in possesso solo del diploma, invece dovrebbe essere necessario presentare un curriculum certificato”.

Quindi non resta che imparare sul campo?
“Non è così semplice. In molti casi i ragazzi vengono sfruttati per paghe misere, se non addirittura gratis. Si lavora per 10-12 ore al giorno e se sei fortunato alla fine del mese ricevi uno stipendio da stagista. E non va meglio a chi ha anni di esperienza. A volte bisogna lavorare 6 giorni a settimana, da mattina a sera, 60-70 ore, per portare a casa 1.100 euro. Una miseria. Come si fa a portare avanti una famiglia?”.

È così dappertutto o solo nei ristoranti e negli alberghi di fascia medio bassa?
“Ovunque. Ci sono ristoranti stellati che praticano quello che posso definire senza mezzi termini “sfruttamento del personale”. Si arriva a fare 75-80 ore a settimana. E poi sono pieni di stagisti che pagano, se li pagano, con un rimborso spese. La norma dovrebbe prevedere uno stagista ogni tot dipendenti, invece non funziona così”.

Un quadro desolante per un settore che spera nella ripartenza dopo gli anni del Covid.
“E posso dire che ci sono casi limite che vanno ben oltre gli esempi che ho fatto”.

Meglio il reddito di cittadinanza allora?
“Decisamente si. Lavorare senza un orario fisso e per uno stipendio da fame di sicuro non spinge ad impegnarsi nel comparto del turismo. In particolare i giovani sono invogliati a cercare altre opportunità per il proprio futuro. Oppure lavorano in nero e la paga, seppure esigua, la portano a casa senza ritenute”.

Fin qui i problemi. Ora passiamo alle soluzioni. Cosa bisogna fare per assicurare personale preparato alle imprese turistiche?
“Innanzitutto investire sulla formazione per fare in modo che il personale sia all’altezza del compito. Poi puntare sui corsi di aggiornamento per garantire professionalità adeguate alle esigenze della clientela”.

Per quanto riguarda gli stipendi?
“È necessario aggiornare i contratti nazionali ormai bloccati da anni. E prevedere delle premialità, magari assicurando allo staff una percentuale degli utili per coinvolgerlo nelle sorti aziendali e fare in modo da invogliarlo a lavorare meglio. Insomma i dipendenti dovrebbero sentirsi in famiglia e non di passaggio”.

Quindi dovrebbero adeguarsi prima i datori di lavoro?
“In effetti si. Il vero problema è che tanti imprenditori del turismo e della ristorazione provengono da altri settori e pensano di sapere tutto rifiutandosi di affidarsi a professionisti qualificati”.

Intervista rilasciata al nostro direttore e pubblicata su Il Mattino.

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