Dopo la tragedia dei treni in Puglia si valuta la Circum

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Alberi che si affacciano sui binari, siepi che nascondono la segnaletica, tratti di rete ferroviaria così fatiscenti da rendere necessario il rallentamento fino a 10 chilometri all’ora. E ancora: intere linee col binario unico e gestite con il cosiddetto “blocco telefonico”, cioè con la comunicazione tra capotreno e capostazione affidata al solo telefono. Treni nuovi ma pericolosi, il cui rischio di deragliamento è stato certificato persino da relazioni tecniche. Treni vecchissimi: basta un nulla e vanno in fiamme. Ma anche sistemi di controllo all’avanguardia, alcuni realizzati più di trent’anni fa e studiati persino dai giapponesi.

La Circumvesuviana anche in merito alla sicurezza palesa tutte le sue contraddizioni: da un lato una tecnologia che consente al pendolare di mettersi in viaggio con relativa serenità, dall’altro lato carenze strutturali che rappresentano il classico pericolo dietro l’angolo, la spada pronta a colpirti quando meno te lo aspetti. Colpa soprattutto di una crisi economica che blocca investimenti concreti e costringe a una manutenzione ballerina, portata avanti a tratti e mai davvero completata.

Insomma a Napoli come in Puglia, stragi sfiorate, rischi dietro ogni angolo. Da un paio di settimane i macchinisti della Circumvesuviana si rifiutano di viaggiare da soli sulla tratta che va dal terminal di Porta Nolana alla fermata di San Giorgio, via Centro direzionale. Vogliono il capotreno vicino, dicono che è troppo pericoloso avventurarsi lungo quei pochi chilometri percorsi ogni giorno da migliaia di persone. Del resto, c’è un precedente tragico: il 6 agosto del 2010 un MetroStar, il treno di ultima generazione, deragliò provocando due morti e 58 feriti. Ha pagato una sola persona per quel disastro: il macchinista, appunto, condannato a tre anni di reclusione. E nella sua requisitoria, persino il pm ha fatto esplicito riferimento alle insidie di quella tratta, così notoriamente pericolosa che il macchinista avrebbe dovuto saperlo e rallentare, stare attento.

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L’errore umano, appunto. L’attimo di distrazione che può provocare morti e feriti. Nel caso della tragedia del 2010 fu un mix: alla curva pericolosa si aggiunse il treno poco affidabile. Proprio nel corso del processo, infatti, è spuntata una relazione tecnica del giugno di quello stesso anno, solo due mesi prima dell’incidente, con la quale veniva messa sotto accusa l’affidabilità dei nuovi Etr. Una strage annunciata, insomma: è bastata una distrazione ed il guaio è stato fatto.

Ecco perché ora i macchinisti non vogliono più percorrere quel tratto da soli e hanno ingaggiato un braccio di ferro con l’Eav, che sta contestando la protesta, ritenendola illegittima. Da quando c’è stato l’incidente, comunque, lungo quella tratta, da solo o in compagnia, il macchinista è obbligato ad andare a 35 chilometri all’ora. Per intenderci: un treno della Circumvesuviana viaggia anche a 90 orari. Chi lo guida, dunque, mentre percorre la curva del Pascone deve andare piano. Ma ci sono altre zone della rete in cui il conducente deve andare addirittura pianissimo, anche 20 chilometri orari. È il caso di Castellammare: il 22 gennaio del 2009 un albero, staccatosi dal costone prospiciente i binari, finì sulla linea aerea e da lì, penzolando, colpì il convoglio in transito all’altezza della stazione di Castellammare Terme, andando a centrare la cabina di guida. Macchinista e capotreno rimasero incastrati nelle lamiere, liberati dai vigili del fuoco.

Da allora, per evitare vibrazioni che possano provocare altre frane, su quella tratta si va a 20 chilometri all’ora, così come sul ponte di Seiano, dove però i lavori di manutenzione sono quasi terminati. E a proposito di vegetazione, vi sono alcune zone dove è così folta che la segnaletica viene del tutto oscurata: il treno si fa strada lungo sterpaglie e fogliame, a volte finisce con il modellare la siepe, disegnare una sagoma.

Il sistema elettronico di sicurezza mette al riparo il macchinista da errori derivanti dalla mancata osservazione del segnale. E tuttavia, se dovesse capitare un incidente, fare scendere i viaggiatori diventerebbe un’impresa: finirebbero dritti nel bosco. Per non parlare, poi, della malaugurata ipotesi di un incendio, purtroppo abbastanza frequente nel caso dei treni vetusti della Circumvesuviana: la vegetazione circostante sarebbe subito interessata, l’inferno di fuoco sarebbe assicurato.

Poi c’è il problema del binario unico, uno dei fattori alla base della tragedia verificatasi in Puglia. In Circumvesuviana il viaggio del treno sul binario unico è protetto da un sistema di sicurezza, detto Atp (automatic train protection) che mette al riparo da eventuali pericoli. È, in pratica, una frenata automatica del locomotore che fa il paio con quella manuale del conducente.

L’Atp fu introdotto nel 1979 in seguito ad un altro tragico incidente, avvenuto a Cercola: uno scontro frontale tra due treni che causò 14 morti e 70 feriti. Era luglio. A dicembre di quello stesso anno un vagone tamponò un convoglio fermo sul viadotto di Seiano, provocando 100 feriti. Si decise, così, di dotarsi di un sistema all’avanguardia, al punto che all’epoca fu studiato da una azienda ferroviaria giapponese, i cui ingegneri vennero in Circum per esportare il modello nel Sol Levante. Le tratte a binario unico, comunque, restano moltissime, circa il 70% dell’intera rete: da Pompei Villa dei Misteri a Sorrento, da Scisciano a Baiano, da Cercola ad Ottaviano, da Boscotrecase a Poggiomarino.

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