Tassa Airbnb bocciata dall’Antitrust

La tassa Airbnb “danneggia” i consumatori. L’Antitrust guidata da Giovanni Pitruzzella boccia il capitolo del decreto fiscale del governo ora all’esame della Camera. Una buona notizia per Airbnb che spera in un cambio di rotta. L’affondo del garante della concorrenza piace un po’ meno a Federalberghi che chiede a Palazzo Chigi di tenere la “barra dritta”. Va detto subito che sulla carta gli appunti dell’Antitrust non sono vincolanti. Piuttosto vanno catalogati tra le “segnalazioni” inviate ai presidenti di Camera e Senato, al ministero dell’Economia ed all’Agenzia delle Entrate.
Niente di più. Ma è difficile che il governo non ne tenga conto nel passaggio a Montecitorio. Anche perché è la stessa Antitrust ad auspicare che i rilievi “siano tenuti in adeguata considerazione” soprattutto a proposito delle norme sugli affitti brevi e “in occasione dei futuri interventi normativi” sull’economia digitale.

Sul dossier Airbnb, Pitruzzella ha bocciato “la modalità” di intervento, non certo “l’obiettivo”, ritenuto legittimo, di “contrastare il fenomeno dell’evasione”. La cosiddetta tassa Airbnb, cioè la cedolare secca sugli affitti brevi al 21% introdotta con la manovra bis può “alterare le dinamiche concorrenziali tra i diversi operatori”, dice il garante, con tanto di “possibili ricadute negative” sugli affezionati degli affitti brevi. Non solo. La norma prevede tra l’altro che gli intermediari immobiliari, online e non, raccolgano le tasse dovute dai proprietari di casa e trasmettano i relativi dati all’Agenzia delle Entrate. Anche in questo caso. però, secondo l’Antitrust, “gli obblighi non sono proporzionati rispetto al perseguimento di tali finalità”, che potrebbero “essere perseguite altrettanto efficacemente” con strumenti che non producano “distorsioni concorrenziali”. Senza contare che la norma rappresenta un unicum nel panorama europeo.

Dove nasce la distorsione? Basta dire che la nuova norma può essere una mazzata per gli operatori online, dice l’Antitrust: la misura rischia di “scoraggiare l’offerta di forme di pagamento digitale da parte di piattaforme che hanno semplificato e al contempo incentivato le transazioni online, contribuendo a una generale crescita del sistema economico”. Insomma, nella concorrenza tra i gestori dei portali telematici, rischia di avere la peggio chi “adotta modelli di business fortemente caratterizzati da strumenti telematici di pagamento”. Fino al punto di “penalizzare” i consumatori, ridurre “ampiezza e varietà dell’offerta” e avere “impatto negativo sulla domanda stessa”.

Perché invece non pensare a “misure meno onerose per i soggetti coinvolti, dice l’Antitrust? Basterebbe, per esempio, un “obbligo fiscale informativo per intermediari e gestori di piattaforme immobiliari telematiche”, tenuti così a comunicare all’Agenzia delle Entrare – a una cadenza da definire – il flusso delle prenotazioni raccolte.

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