Il professor Francesco Corcione: Meglio attuare chiusure tempestive

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Il professor Francesco Corcione, direttore del dipartimento di Chirurgia al Policlinico di Napoli, ha rilasciato una intervista al Mattino in merito all’emergenza Covid e sulle misure che ritiene si debbano adottare per arginare l’escalation dei contagi.

“Il Covid? Bisogna puntare sulla prevenzione ma anche essere consapevoli dei rischi di un’epidemia che sta mettendo in ginocchio il mondo e che bisogna fronteggiare da un lato con la prevenzione, con comportamenti adeguati, atteggiamenti consapevoli e sacrifici a tutti i livelli sociali. Dall’altro attrezzandosi dal punto di vista sanitario e mettendo in campo tutte le strategie possibili per ridurre le conseguenze dei contagi prima che il lockdown diventi inevitabile e che però se serve va fatto subito, non a Natale”. Così Francesco Corcione, docente ordinario della Federico II, direttore del dipartimento di Chirurgia al Policlinico collinare di Napoli e presidente della Società italiana di Chirurgia.

Come si fronteggia una pandemia come questa?
“Non vorrei essere nei panni di un decisore politico o di un manager”.

Perché?
“Qualunque decisione comporta molti rischi e scontenta qualcuno e non è detto che ottenga il risultato sperato. Ma bisogna agire e assumersi responsabilità pesanti sul piano sanitario ed economico”.

Quali le possibili cose da fare?
“Chiaramente la prima arma è la prevenzione ed è nelle mani di tutta la popolazione. Non capisco chi si lamenta della mascherina o degli obblighi di distanziamento. È il minimo che si può fare di fronte a una pandemia del genere. Poi servono adeguati piani di Sanità pubblica sia sul territorio che sul fronte ospedaliero. La Regione sta lavorando da mesi senza sosta e senza dubbio sono momenti difficili”.

Le restrizioni quando devono scattare?
“Quando sono necessarie e la valutazione avviene su una serie di parametri che mi pare che l’unità di crisi stia costantemente monitorando”.

Che tipo di chiusure?
“Possono essere più o meno mirate e arrivano ovviamente a quella estrema del lockdown difficile da sostenere economicamente ma se serve va assunta tempestivamente”.

Cosa intende?
“Di fronte a una progressione esponenziale l’onda lunga dei contagi continuerebbe per almeno un mese dopo un qualunque tipo di freno alla socialità. Chiudere dopo che i danni si sono prodotti può essere inutile”.

Lei è stato un primario ospedaliero, ora è all’Università: cosa pensa della ipotizzata conversione di uno o più padiglioni del Policlinico a strutture per i pazienti Covid per fronteggiare l’emergenza?
“Da addetto ai lavori dico che i Policlinici hanno una strutturazione ideale per separare le funzioni Covid da quelle non Covid. I Policlinici fanno pienamente parte della rete ospedaliera con l’azienda ospedaliera universitaria e così come hanno dato un contributo durante il lockdown lo devono dare adesso. So che la terapia intensiva è stata da oggi interamente devoluta ai pazienti Covid e che noi delle chirurgie dovremo appoggiarci alla unità di rianimazione della cardiochirurgia, l’unica rimasta non Covid”.

Le attività sanitarie ordinarie possono convivere con il virus che circola nelle corsie?
“Stamattina (ieri, ndr) a un convegno della Società italiana di Chirurgia è intervenuto anche il ministro della Salute Roberto Speranza. Ha detto che il Covid non ha mandato in vacanza le altre patologie oncologiche e che il sistema sanitario italiano è ben organizzato per non interferire con la cura dei malati non infetti”.

Come va strutturata questa separazione?
“Il modello da perseguire è quello del Cotugno. Un ospedale monospecialistico per le malattie infettive che al suo interno ha competenze e risposte differenziate per i vari tipi di pazienti affetti dall’infezione con reparti a intensità diversificata oltre a un triage e un pronto soccorso. Penso al Loreto mare, è un Covid center ottenuto dalla conversione di un ospedale che precedentemente era dotato di almeno un centinaio di posti letto. Tutti andrebbero attivati per il Covid e invece ne ha solo un terzo in funzione. Strutture che dovrebbero essere autonome e complete. Invece il 118 prima di un ricovero passa quasi sempre da un pronto soccorso di ospedali non Covid costretti a fermarsi per sanificazioni”.

Manca il personale…
“E allora il problema non si risolve ricavando altri posti letto. In questo scenario si blocca di nuovo tutto. Il personale si recluta con avvisi rivolti a giovani laureati che andrebbero formati sotto la guida di esperti anche pensionati come ha fatto il collega Franco Faella al Loreto”.

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