La tragedia di Casamicciola ha scosso tutta la provincia di Napoli e l’Italia, da Nord a Sud. Intere famiglie inghiottite dal fango. Dodici vittime che solo a distanza di giorni sono state recuperate da quella colata assassina. Una tragedia sulla quale ci si interroga. Con tante prese di posizione, anche contrastanti, sia da parte delle istituzioni, che dei tecnici. E pure dei semplici cittadini, quelli che guardano a quanto accaduto ad Ischia come ad una sciagura che si poteva e si doveva evitare.
Di seguito riportiamo una riflessione di Anna Iaccarino, assessore ai Lavori pubblici ed alla Pianificazione urbanistica del Comune di Piano di Sorrento.
Per tanti giorni ho preferito stare in silenzio. Un silenzio doveroso per rispetto delle vite, ben 12, spezzate dal fango; per rispetto di chi è scampato alla morte, ma ha perso tutto e per rispetto delle tante mani impegnate a scavare, ad aiutare, a sostenere e a pregare.
La tragedia di Ischia però non può lasciarci in silenzio, perché il silenzio non passi per indifferenza o per distacco dalla realtà.
La tragedia di Ischia deve imporci una seria riflessione, possibilmente seguita da misure concrete.
E non mi riferisco al dispensare giudizi, quelli li lascio agli altri, a chi è molto bravo a guardare in casa altrui e poco nella propria. Perché in questi giorni si sta scrivendo e leggendo di tutto, in una pacchiana corsa a chi è più esperto in rischio idrogeologico, in condoni, in urbanistica, in cambiamento climatico, in capacità di amministrare i Comuni, in pulizia delle caditoie (già, perché si è arrivato a sostenere anche questo!) e chi più ne ha più ne metta!
La verità è che abbiamo un territorio tanto bello quanto fragile e le ragioni di questa fragilità albergano spesso nella mano dell’uomo che, con la sua presenza, incide più o meno profondamente nell’ambiente che lo circonda. L’abusivismo edilizio gioca un ruolo di rilievo, con tutta la fitta rete di problematiche e aspetti che si tira dietro, ma non è certo l’unico dei fattori in ballo, poiché assumono peso anche attività assentite o fortemente caldeggiate per lo sviluppo di aree urbane, come: deviazioni di corsi d’acqua, disboscamenti e trasformazioni a scopo edificatorio o di espansione, impermeabilizzazione di suoli, realizzazione di strade, di opere e di edifici.
In tanti casi la natura cede il passo all’uomo, salvo poi riprendersi il vantaggio a modo suo. Non è solo fatalità è anche la risposta ad una precisa regola…non scritta!
Le tragedie, quindi, dovrebbero chiamarci alle responsabilità, ma più che a quelle giuridiche (che saranno vagliate dai tribunali…quelli veri e non i mediatici) dobbiamo interrogarci su quelle morali, culturali e politiche. In qualità di singoli cittadini e, come nel mio caso, in qualità di cittadini chiamati ad onorare un ruolo. Per quanto tempo ancora dovremmo piangere morti e distruzione prima di capire che è giunto il momento di invertire la rotta? Dobbiamo capire che il rispetto del territorio e il consumo di suolo – ormai un chiodo fisso nelle agende di mezzo mondo – non sono uno spauracchio da agitare (come fanno, con pregiudizio e ignoranza, quelli che poca familiarità hanno con discorsi un po’ più elevati di quelli circoscritti al proprio orticello, al proprio benessere e ad un concetto unilaterale e limitato di progresso ed economia), né un soprammobile da spolverare quando in casa arrivano ospiti (per fare bella figura e sentirsi al passo coi tempi!), ma sono un obiettivo imprescindibile per ogni società. Non sono né mostri da rifuggire, né contenitori vuoti da osservare. Ne abbiamo scritto nel programma elettorale, non senza tirarci dietro qualche facile battutina, e proviamo tutti i giorni, con il fondamentale aiuto degli uffici, faticosamente a fissare la rotta.
Il rispetto del territorio e la riduzione del consumo di suolo, passano per una attenta valutazione, messa in sicurezza e salvaguardia dell’ambiente che ci circonda, per una mitigazione dell’impatto che ogni azione umana imprime nell’ecosistema, per una adeguata pianificazione; passano per la realizzazione di opere e di interventi ponderati agli effettivi bisogni della collettività, puntando prima al recupero dell’esistente o alla ottimizzazione delle realtà già sacrificate e poi all’uso, se necessario, di quelle libere (dove i costi di costruzione scendono notevolmente…e qui non si deve aggiungere altro!); passano per la compensazione delle aree con conseguente riconversione o recupero di zone verdi per ogni trasformazione di suolo che si renda effettivamente necessaria, passano per l’ingegneria naturalistica e per i CAM. Non sono certo obiettivi a portata di mano, ma dobbiamo sforzarci affinché si possano raggiungere. Un passo alla volta, ma nella consapevolezza di percorrere la strada giusta, per noi e per il futuro dei nostri figli. Insomma, chi, al sentire queste parole, parla di realtà ingessate o di regresso o addirittura di pericoli talebani (!?), non ha proprio capito niente, salvo poi prendersela con Dio e tutto il mondo – puntando l’indice a destra e manca (persino contro lo stesso “progresso” a cui inneggiava fino ad un secondo prima) – all’arrivo delle sciagure!