Scudetto Napoli, Luciano Pignataro intervista Don Alfonso Iaccarino

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Su Il Mattino di oggi tiene ancora banco la splendida vittoria del terzo scudetto da parte del Napoli. Una festa cominciata da settimane e che è destinata a continuare ancora per molto tempo considerando la lunga attesa per la città e la tifoseria. Nelle pagine dedicate al successo azzurro, questa mattina spicca la pregevole intervista realizzata da Luciano Pignataro ad un tifoso d’eccellenza, lo chef di Massa Lubrense, Don Alfonso Iaccarino. Una piacevole chiacchierata su cosa rappresenta lo scudetto per Napoli ed i napoletani.

Alfonso Iaccarino, grande chef che ha aperto una strada e grande tifoso del Napoli da sempre. Ha memoria delle prime due vittorie con Maradona e il terzo titolo assume un significato particolare. “Sono due contesti storici completamente diversi. A causa del terremoto del 1980 quel decennio fu molto duro per Napoli e la Campania, quasi quanto il Dopoguerra anche se non c’era il problema della fame. Maradona incantò tutti e ci regalò qualcosa che nessuno osava sperare. Questo scudetto invece arriva in una città in crescita, che guarda con ottimismo al futuro, che ha superato meglio di molte altre realtà i due anni del Covid e, al di là del merito dei giocatori sul campo, è dovuto alla capacità di Aurelio De Laurentiis”.

Molti in effetti hanno ricordato le contestazioni della scorsa estate da parte di una fetta di tifosi azzurri.
“Conosco bene De Laurentiis anche sul piano personale. Ognuno ha il suo carattere, ma è sui fatti che bisogna giudicare. Vero che in estate potevano esserci grandi dubbi, ma nascevano da anni giocati sempre da protagonisti, in cui lo scudetto avremmo potuto vincerlo: le squadre costruite da questo presidente sono sempre state competitive. Alla luce di quello che sta emergendo dalle inchieste su certi club, possiamo dire che quella del Napoli è stata una gestione sana, con la testa sulle spalle, senza colpi di testa finanziari pericolosi”.

E i fatti hanno dato ragione al presidente proprio in quello che poteva sembrare un anno in salita.
“Sì, perché il presidente ha dimostrato di saper fare una cosa meglio di tutti: scegliersi i collaboratori più adatti per raggiungere lo scopo. E il risultato finale è oggettivo, non opinabile, non affidato a episodi controversi come è avvenuto per altri scudetti: il distacco dei punti con la seconda, la vittoria anticipata di cinque giornate sono numeri, fatti. E in Champions siamo stati solo sfortunati”.

Lo scudetto al Napoli è uno scudetto anche per Napoli?
“Più che per Napoli, è uno scudetto per l’essere napoletano in tutto in mondo. Noi abbiamo locali in Usa, in Canada, a Macao, in Marocco e ovunque ci sono stati festeggiamenti. A New York ho saputo che un pezzo di strada vogliono dedicarla al Napoli Calcio, lì dove si sono trovati centinaia di tifosi azzurri ogni settimana in questa stagione. Siamo una comunità importante, il nostro dialetto è al 77° posto tra le centinaia di lingue parlate in tutto il mondo. Siamo arte, siamo cultura, siamo stile nel vestire e nel mangiare”.

A festeggiare sono gli emigranti, o c’è qualcos’altro?
“Io ho notato una cosa: c’erano tanti giovani a festeggiare. Quando vincemmo i primi due scudetti difficilmente i giovani tifavano Napoli, tenevano, anche in Campania, per le squadre del Nord. Ora questo paradosso è cancellato grazie al fatto che sono parecchi anni ormai che il Napoli ci fa sognare e vedere un grande calcio in campo. Questa è una differenza fondamentale rispetto al passato. C’è un senso di appartenenza anche calcistico, come è giusto che sia. Prima il Sud era rappresentato, nel mondo del calcio, solo dai giocatori meridionali che comprava Agnelli. La differenza la fa anche il fatto che non siamo finiti in mano a un fondo, che abbiamo una gestione privata e questo è un elemento identitario che dà forza in un mondo abituato a contare solo con gli algoritmi, a un profitto senz’anima”.

Ma perché uno scudetto al Napoli diventa argomento di discussione su Napoli, dando il via a tesi sociologiche a metà fra luoghi comuni e brillanti intuizioni? Perché questo non accade altrove?
“Perché noi siamo, tra le grandi comunità dell’Occidente, quella meno omologata e quindi più difficile da decifrare. E lo si vede proprio, per tornare al mio mestiere, da come mangiamo: con l’olio d’oliva e con la gioia, con la cultura in testa, la musica nel cuore e il bello negli occhi. E questi non sono luoghi comuni, perché fanno la differenza nell’affrontare ogni giorno i problemi della vita. In una parola: da noi nessuno è mai solo”.

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