Antonino Cannavacciuolo, chef pluristellato di Vico Equense e giudice implacabile di Masterchef, si racconta a Millions, il podcast di Joe bastianich e Tommaso Mazzanti. Un viaggio che parte dagli inizi. “Sicuramente da ragazzo ho sempre mirato al successo, a fare bene qualsiasi cosa che stavo facendo – racconta -. Già da piccolo si vede cosa vuoi fare da grande. Ho avuto dei momenti in cui mio padre non voleva facessi il cuoco. Essendo lui un cuoco, sapeva la vita che ti porta a fare questo lavoro. Per il bene del figlio ha cercato di farmi cambiare idea. A 13 anni ho detto “O mi farai fare questa cosa o io nella vita non farò niente”. C’è stato qualche mese che mi ha tolto un po’ la parola, era incazzato. Poi mi ha preso da parte e mi ha spiegato: “Se devi fare questo mestiere, fallo bene”. Oggi non ho tatuaggi ma se ne dovessi farne uno sarebbe questa frase”.
“A 13 anni entro nella mia prima cucina, dove mio padre faceva lo chef – aggiunge Cannavacciuolo -. Ho fatto con lui due stagioni. Lui ha avuto la bravura di non farmi cucinare, di non spiegarmi le ricette ma di mettermi i coltelli in mano, farmi disossare, sfilettare, pulire i prosciutti, le spalle intere, spiegarmi proprio il lavoro. Mi ha creato la manualità che oggi nel mio lavoro è quello che ti fa lavorare bene. Poi ho fatto altre esperienze in vari alberghi a Sorrento”.
E ricorda ancora: “Trentasette anni fa andavano forti i cinque stelle con grandi buffet, le grandi cene di gala. Mio padre ha visto che ero preso da questo lavoro e mi disse “Uagliò, il cuoco ha sempre la valigia pronta”. Devi partire, andare a fare esperienze al nord. Così sono arrivato al Lago d’Orta, in un 5 stelle a lavorare. Ho cominciato ad annusare il mondo stellato, ho fatto un’esperienza nell’albergo di mia moglie, dove l’ho conosciuta. Il mio sogno era tornare al Quisisana a Capri. Dove sono arrivato il ’97-98. C’era stata la consulenza di Marchesi, ho iniziato a capire cosa era la cucina. Non era solo cucinare, ma pure tanto studio. L’estro di uno chef deve perfezionare quello che ci dà la natura”.
“Poi sono tornato al lago perché c’è stata un’infarinatura con mia moglie – prosegue lo chef -. Ho conosciuto un produttore di vino molto importante e grazie a lui sono andato a fare due stage importanti in Francia. Mi hanno aperto il mondo. C’era un perido che non dormivo più la notte, sono andato in crisi perché avevo fatto un altro tipo di cucina e trovarmi a rompere la testa su un singolo piatto. Pensavo di aver perso 8 anni della mia vita. Crescendo ho capito che mi sono serviti e lo studio intorno alla ricetta mi ha portato a Villa Crespi”.
E la svolta. “Ho conosciuto una sera il proprietario perché veniva a mangiare dove lavoravo io. Mi propose di acquistare Villa Crespi, ma avrei dovuto fare una rapina per trovare i soldi. Mi disse di non preoccuparmi dei soldi perché non voleva niente. L’unica cosa che ti chiedo è che mi devi pagare l’affitto tre mesi anticipati. Poi abbiamo investito i soldi. Quel pagare tre mesi prima per tanti anni è stata tosta. A ottobre i laghi si svuotano. Quando pagavi a dicembre prendevi pochi soldi, a gennaio andavamo sotto. Abbiamo giocato con spostamenti di fido e banca. Serve voglia di metterti in gioco, accettare le sfide e anche l’insuccesso. Su tante cose negative c’è quel punto di luce che quando nasce la pianta è difficile che la butti giù. Ogni cosa dobbiamo pensare che è una sfida, non è mai a vita”.
“Dopo 3 arriva una persona che era al gambero rosso e si chiamava Giancarlo Perrotta – i nuovi ricordi che riaffiorano -. Mangia a Villa Crespi e da quel pranzo ha lanciato un missile. Mi ha portato a Roma al tre forchette. Avevo 27 anni, c’erano 12 ristoranti premiati e quando mi hanno premiato tutta Italia si è chiesta “Chi è?”. Salire sul palco del Gambero Rosso nel suo momento di espansone, da lì è aumentato tutto”.
Poi sono arrivate le Stelle Michelin. “La prima stella nel 2003. Matrimonio, prima stella e tre forchette gambero rosso. Pensavo un altro anno così fosse impensabile. Nel 2006 Cappelli dell’Espresso e nascita di Elisa. Con le tre stelle è arrivato il mondo dietro. Quando è arrivato il messaggio che era primo in Italia, secondo in Europa e terzo nel mondo quello è stato un altro”.
“Villa Crespi è un posto che ti innamori, ci stanno persone da 20 anni, 12 anni, 8 anni. Chi sta là è una statua, un pilastro. Chi sta dietro accusa il colpo, non vedrai mai la crescita. Nasce l’idea di aprire qualcosa. Prima un bistrot, a Novara e Torino e lì spostavamo i ragazzi che volevano crescere. A Napoli mio papà mi ha comprato una struttura molto impegnativa, pensando “Tonino si sta facendo il giro quando torna faremo un ristorante-albergo in Campania” ma io non sono più tornato ed era ferma. È nato Lacqua (a Picciano di Vico Equense, ndr)”.
Non finisce qui. “Oggi abbiamo il banco di Antonino che prendiamo tutti gli aeroporti e tutte le stazioni. È un progetto che sta nascendo già, ce ne sono quattro aperti. Ci sono le acque e tutti i prodotti che vendiamo tramite rivenditori e tramite e-commerce dove facciamo dal panettone al cioccolatino, all’uovo di Pasqua, alle colombe a tutta una serie di sottaceti. Adesso partiremo con dei sughi, proprio la linea on-line. Poi quest’anno nasce una una bevuta che è Contrattino, questo aperitivo che ci stiamo puntando tanto e sta andando molto forte all’estero. Abbiamo venduto già delle cifre veramente importanti”.
E c’è il rapporto con i lavoratori. “Ci sono 300 dipendenti miei proprio è 200 che lavorano attorno. Trattiamo i ragazzi che lavorano con noi come loro fossero i proprietari, ti possono dare una mano nella tua crescita. Io ho bisogno di ognuno di loro. Ogni imprenditore ha bisogno di persone che ti danno quasi la vita. Cerco proprio il contatto con i miei dipendenti. Non è un “Buonasera., ci vediamo domani”. Il tuo problema è il mio problema, lo risolviamo insieme. Solo così crei quella rete di collaboratori dove ti permettono di crescere. Quelli che dicono “io, io, io” sbagliano. In cucina c’ho 30 ragazzi, 30 cervelli dai 20 ai 25 anni. Devo farli sviluppare e li coinvolgo. Ci dobbiamo divertire. Poi è importante mettere davanti i numeri. Tanti nascondono i numeri, non devi farlo. Tu devi nascondere quando rubi, io non devo. Perciò pure i capi servizi devono sapere i numeri. Mia moglie mette i tetti, vanno saputi così come quando si superano. Quando si va sopra quel budget è festa, pure loro si responsabilizzano”.
Non sono mancate, però, le difficoltà. “C’è stato il momento duro il momento, dove ho dato la vita. Mi ricordo che dal ’99 ho fatto il primo giorno di riposo nel 2004, perché Villa Crespi era sempre aperto 7 su 7 e chiudevamo 15 giorni a gennaio per fare pulizia. Ho avuto la grande fortuna di avere accanto a me mia moglie che mi capisce e parla lo stesso linguaggio. Non ho avuto il problema di dire “Non ci sei mai, pensi solo al lavoro”. Eravamo due folli. Cioè se io facevo 8 lei ne faceva 9. Se io facevo 10 lei faceva 11 se ne faceva 12, cioè eravamo sempre pigliati tutti e due. Ragazzi, sceglietevi una donna che vi sostiene perché all’inizio è tosta. Io non mi vergogno di dire che ho lavato i piatti fino a 10-12 anni fa, vedevo in difficoltà il lavapiatti, non mi potevo permettere due lavapiatti e andavo a lavare i piatti. Posso dire che serve serietà e lavorare tanto creare un qualcosa che gli altri non l’hanno creata ancora. Significa mettersi in gioco che poi si va a finire nella banalità e nella banalità è difficile che esce fuori qualcosa”.
Ed è arrivato Masterchef. “Ho iniziato con la quarta edizione, molto bella. Prima ho fatto due anni Cucine da incubo. Alla televisione non ci pensavo proprio minimamente. Sapevo l’importanza perché i vecchi in Italia dicono “A it a televisione” significa l’ha detto la televisione. Se uno vuole creare business, la televisione è fondamentale. Ma io ero preso e non volevo fare televisione perché volevo stare concentrato sul mio lavoro, non volevo distrazioni. Io sono stato chiamato a Masterchef proprio quando non esisteva. Mi hanno detto “C’è un nuovo programma che vogliamo fare, se viene a Milano”. A me non interessava. MasterChef è andato bene e mia moglie dice “Vedi ci potevi essere te, vedi Cracco la fila al ristorante”. Passa nemmeno un anno e ancora un’altra telefonata, non mi interessava. Ha creato tutto mia moglie e si è messo d’accordo con chi se ne occcupava ai tempi. Sono venuti tre volte a Villa Crespi per dirmi di andare a Roma. Ho detto che dovevano chiamare mia moglie e dire che io non andavo bene per questo programma, così era tranquilla. Il direttore generale di Fox allora ha detto “O lui o non lo facciamo”. Allora abbiamo trovato un’intesa. Io faccio le puntate quando Villa Crespi è chiuso. Perciò se voi andate a vedere i primi servizi di cucina su una Arona, Borgosesia, Novara. Mi hanno creato proprio un format su di me in questa zona qua perché io non volevo mollare”
La famiglia ha un ruolo fondamentale nella crescita di Antonino Cannavacciuolo. “Cinzia (la moglie, ndr) mi aiuta tanto. Per lei la casa è una cosa strana perché lei è nata in albergo. Perciò se c’hai i tempi proprio dell’albergo, c’ha il breakfast lunch and dinner. Per lei non c’è una porta. Lascia la porta di casa aperta e mi risponde che è nata in albergo. Quando c’è una una potenza così vicino a te è facile perché lei fa la mamma e poi nel tempo libero fa adesso l’imprenditrice”.
Si guarda anche all’ingresso di nuovi soci. “Il mio sicuramente è un nome che attira molto. Ci sono tanti fondi e investitori che vorrebbero investire nel nostro gruppo. Secondo me per fare il salto dobbiamo guardare attorno e far entrare qualcuno in parte. Ci sono il banco di Antonino, c’è Lacqua. Villa Crespi sarà sempre mia, là è difficile”.
“Voglio divertirmi, lavorare per quello che mi piace – confessa -. Per esempio mi piacciono le macchine io investo sulle macchine che mi piacciono. Ho 49 anni anni, ancora ci sono vent’anni. Il mio prossimo viaggio è stare bene con i miei figli, che hanno 17 e 12 anni. Il più grande sta studiando e vuole fare il lavoro della mamma, al più piccolo piace il lato alberghiero. Hanno scelto da soli, senza che io e Cinzia dicessimo niente”.
E per i 50 anni ormai alle porte? “Voglio affittare una barca e starci due giorni, lasciando i telefonini nel porto. Io sono nato per far festeggiare gli altri, non ho mai festeggiato. Ma a 50 anni vorrei fare un qualcosa per celebrare quello che ho creato”.