Intervista alla studentessa di Sorrento scampata all’uragano Irma

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“È stata un’esperienza drammatica che ci segnerà per sempre anche se, per fortuna, si è conclusa bene”. Sara Parisi è una ragazza di Sorrento che studia Medicina presso l’American University of Antigua, una delle isole dell’arcipelago caraibico delle Piccole Antille. Sara ha toccato con mano la furia devastante dell’uragano Irma che, con venti che hanno raggiunto i 300 chilometri orari, ha portato morte e distruzione in una zona del continente americano che fino a due giorni fa era considerata un paradiso in terra.

Come vi siete preparati?
“Quando si è avuta la certezza che saremmo stati colpiti dalla furia devastante di Irma i responsabili dell’ateneo ci hanno fatto spostare tutti presso una struttura che ospita alloggi per studenti situata in una zona collinare”.

Per quanto tempo non hai potuto parlare con i tuoi genitori, papà Antonio e mamma Anna Maria, che erano in ansia a Sorrento?
“Qui le linee telefoniche sono ancora affidate ai cavi che si trovano su tralicci in legno, la maggior parte dei quali è stata distrutta dalla furia del vento. Inoltre, per 6 ore, in via precauzionale, sono state disattivate le linee elettriche ed è stata sospesa l’erogazione di acqua potabile e di gas per evitare rischi. Per tutto questo tempo siamo stati praticamente isolati dal resto del mondo ed ancora abbiamo problemi nelle comunicazioni e con la rete elettrica”.

Il passaggio di Irma è stato drammatico?
“I nostri professori e il personale dell’università ci hanno preparato per evitare il panico. Dicevano di non preoccuparci perché la palazzina che ci ospitava era solida e al massimo il vento avrebbe potuto portare via una parte del tetto, ma i muri sarebbero rimasti in piedi. Per questo eravamo tutti radunati ai primi piani, mentre porte e finestre sono state messe in sicurezza con tavole di legno”.

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Poi è arrivato l’uragano.
“La paura era tanta per un evento che nessuno di noi aveva mai vissuto prima. Abbiamo avvertito il boato in lontananza che man mano si avvicinava. Poi un frastuono assordante durato alcuni minuti che, però, a noi sono sembrati un’eternità. A un certo punto una quiete quasi irreale: eravamo nel centro del ciclone. Una pausa di diversi istanti poi siamo stati di nuovo colpiti dalla furia devastante del vento finché si è placato tutto”.

Cosa avete visto una volta cessato l’allarme quando siete usciti all’esterno?
“Si vedevano case e strutture in legno distrutte tutto intorno, un’immagine catastrofica, anche se ci dicono che in fondo siamo stati fortunati: il ciclone ha colpito la nostra isola solo in maniera limitata, mentre nella vicina Barbuda il 90 per cento degli immobili risulta distrutto. Non abbiamo notizie di vittime a parte ciò che viene diffuso via internet”.

Sei stata contattata anche dall’unità di crisi del ministero degli Esteri?
“Ho ricevuto la telefonata di un funzionario della Farnesina che mi ha chiesto se andava tutto bene e se avevo bisogno di qualcosa. Mi ha lasciato dei recapiti in caso di emergenza. Da sei anni che studio all’estero è la prima volta che ho sentito così vicino il mio Paese ed ho capito quanto sia importante essere italiana”.

Come mai hai scelto di studiare all’estero?
“Per i problemi creati dal numero chiuso per le università italiane e anche per migliorare la conoscenza della lingua inglese, fondamentale per chi vuole fare il medico. Il mio ateneo ha sede a New York e solo per l’ultima fase degli studi si viene ad Antigua. Tra l’altro sono l’unica europea tra gli studenti dell’American University of Antigua presenti sull’isola”.

di Massimiliano D’Esposito da Il Mattino

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