Aumento tassa di sbarco a Capri, ricorso degli armatori

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CAPRI. Diventa un braccio di ferro l’applicazione della nuova tassa di sbarco sull’isola azzurra. Contro il provvedimento adottato dai Comuni di Capri e di Anacapri e ratificato dal ministero dell’Economia che aumenta il balzello da 1,50 a 2,50 euro a persona, sono insorti gli armatori, che pur attuando il provvedimento, andato in vigore il primo aprile scorso, hanno presentato un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, chiedendo in via cautelare la sospensione dell’efficacia delle delibere, e in via definitiva la loro cancellazione.

Ma cosa c’entrano gli armatori che, in buona sostanza, sono esattori della tassa nel senso che la incassano ai botteghini con il costo del biglietto e poi la versano ai due Comuni isolani? C’entrano perché, secondo loro, la lievitazione del biglietto rischia di scoraggiare l’escursione a Capri dei gruppi organizzati, specie di quelli che sbarcano dalle navi da crociera, che potrebbero essere dirottati su Pompei, Sorrento, Amalfi o Paestum proprio per l’eccessivo costo del biglietto per Capri.

Il ricorso è stato presentato dagli avvocati Salvatore Ravenna e Francesco Sciaudone a nome di tutte le compagnie che operano nel Golfo sulle rotte Napoli-Capri, Sorrento-Capri e Amalfi-Capri: la Snav, la Caremar la Navigazione libera del Golfo, l’Alilauro-Gruson e l’Alicost.

L’effetto dell’aumento della tassa ha fatto lievitare il biglietto a tariffa intera a 21 euro, una cifra ritenuta troppo alta dalle agenzie di viaggio che hanno già annunciato che intendono rivedere i loro piani se non si arriverà a una soluzione in tempi brevi. Nel mirino, infatti, ci sono i contratti per la stagione 2017, stipulati a fine 2016 in cui sono stati sostanzialmente mantenute le tariffe dello scorso anno. Invece la batosta è arrivata a metà febbraio 2017 quando il ministero dell’Economia ha ratificato le richieste di Capri e di Anacapri, determinando un aumento del biglietto a partire dal primo aprile scorso.

La decisione dei due Comuni attiene, in massima parte, alla necessità di coprire i minori stanziamenti dello Stato sui servizi gestiti dagli enti locali. Dal fronte opposto, gli armatori temono un calo dei flussi previsti che potrebbe avere una pesante ripercussione sui servizi e, soprattutto, sui programmi di rinnovamento e manutenzione della flotta che richiedono forti investimenti. Insomma un nuovo fronte contrapposto che si somma ad altre divergenze già emerse negli ultimi anni.

In punta di diritto gli avvocati che hanno firmato il ricorso ritengono che “il contributo di sbarco comporta un’indebita restrizione della libertà di prestazione dei servizi garantita dall’articolo 56 del trattato di fondazione della Ue”. Secondo gli avvocati l’incremento del biglietto colpisce prevalentemente i cittadini di altri Stati membri della Ue, dal momento che sono esentati dal pagamento i cittadini di Capri e di Anacapri, i lavoratori, gli studenti pendolari, i componenti dei nuclei familiari dei soggetti che risultano aver pagato l’imposizione municipale nei suddetti Comuni. Insomma, di fatto finiscono per pagare la tassa i cittadini europei non italiani e questo configurerebbe discriminazione.

La tassa di sbarco è stata istituita con decreto del 2011 in seguito alla proposta di creare un’alternativa all’imposta di soggiorno portata avanti in primis dall’amministrazione di Capri insieme all’Ancim. Nel 2015, ultimo dato consuntivato, l’incasso complessivo è stato di 2.604.850 euro. Questa cifra è stata ripartita tra i due Comuni isolani e, in particolare, il 66% a Capri ed il 34% ad Anacapri. Immaginando un’affluenza pari a quella del 2015 (ma in realtà le previsioni parlano di aumenti che potrebbero sfiorare le due cifre), portando la tassa a 2,50 euro nell’anno fiscale si avrebbe un aumento di introito pari a 1.736.576. Entrambi i Comuni – e questo è un altro punto toccato dal ricorso che in questa prassi intravede l’introduzione di aiuti di Stato – si sono impegnati ad accantonare il 20% per lavori di miglioramento strutturale a Marina Grande.

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