Un pezzo di Pd in piazza contro de Magistris, un altro con lui in Città metropolitana. Imbarazzi? Macché, nemmeno un plissé. “Il partito ha troppi pregiudizi su di lui”, spiega, scrollando le spalle, Giuseppe Jossa, capogruppo democrat nell’ex Provincia dopo aver appena accettato le deleghe che il sindaco di Napoli gli ha dato all’ente di piazza Matteotti.
Paradossi di un partito che a Napoli è di lotta e anche di governo. Questioni di pochi metri. Al Municipio il partito del Nazareno è contro de Magistris; 350 metri più in là (esattamente 4 minuti a piedi) invece è nella maggioranza dello stesso de Magistris. Quello stesso de Magistris che il presidente della Regione De Luca, sempre del Pd, ha eletto a nemico numero uno. Eppure l’ex pm è riuscito, due sere fa, in una mossa politica inimmaginabile: spaccare un partito che si pensava impossibile da scindere dopo la batosta del 4 marzo. Eppure ci è riuscito. Chapeau.
Perché due sere fa l’ex pm decide, dopo l’uscita di Forza Italia dal patto istituzionale siglato oltre un anno e mezzo fa nell’ex Provincia, di assegnare quelle deleghe ai democrat. “Un’iniziativa totalmente scollegata dalla buona politica”, denuncia subito il segretario provinciale Pd Massimo Costa chiedendo ai suoi di congelare tutto e non accettare nulla.
E invece passa una manciata di ore e il capogruppo a piazza Matteotti fa sapere di non pensarci affatto. “Chi parte da Napoli per valutare il governo della Città Metropolitana lo fa con una angolazione di pregiudizio, una visuale condizionata dalle scelte di de Magistris su Napoli. La Città Metropolitana è altro e bisogna dare atto a de Magistris di essere un sindaco di grande disponibilità e apertura alla condivisione”, si giustifica il democrat Jossa appena entrato nella squadra dell’ex pm (con lui i colleghi di partito Michele Maddaloni, Nicola Pirozzi, Giuseppe Tito e Giuseppe Cirillo).
E come ci si regola con la manifestazione di sabato contro de Magistris-sindaco organizzata dal Pd? “Io sono di Marigliano”, taglia corto Jossa. Inutili pure gli appelli di Valeria Valente e Antonio Marciano a non accettare. “È un accordo che – dice la prima – non si fonda su alcun elemento di programma ma esclusivamente su un deleterio patto di spartizione di qualche posizione, non di potere dato che è il sindaco metropolitano a decidere tutto, ma di bassa gestione”. “Fi si è tirata fuori. Una parte del Pd no. Dunque anche quello che in prima battuta fu benedetto dal gruppo dirigente del partito provinciale e regionale come patto istituzionale cade e diventa ancor più chiaro che eravamo e siamo di fronte all’inciucio in salsa napoletana”, attacca invece Marciano.
Patto all’epoca benedetto da casilliani e areaDem. Ma stavolta non c’è stato nessun ordine di scuderia. “Ho sempre difeso l’accordo istituzionale dovuto a un effetto della legge Delrio. Mi pare evidente – spiega Massimiliano Manfredi – che ci troviamo di fronte ad un mutamento di questa situazione in quanto Fi si è ritirata e nel frattempo il segretario ha chiesto una verifica politica”. E aggiunge: “Anche se Fi è uscita perché non ha avuto una delega più pesante come chiedeva…”.
Ma da altri angoli del partito, specie quelli area ex ds, ora arriva la richiesta di espellere i consiglieri ribelli. “Una scelta individuale la loro”, tuona il presidente Tommaso Ederoclite; “Prese di posizione dei singoli”, attacca la segreteria regionale. “Da loro mi sarei aspettato responsabilità, un congelamento del sì alle deleghe in attesa della discussione interna al partito”, spiega il segretario Massimo Costa con malcelato imbarazzo. E ora? Via dal partito? “È uno schiaffo a me e alla stragrande maggioranza del partito. Mi auguro solo che rinsaviscano”.
di Adolfo Pappalardo da Il Mattino