Le noci di Sorrento, un must già duemila anni fa

cristo

di Nino Cuomo

Dopo circa venti secoli ci si è accorti che Sorrento, oltre che come la “terra degli aranci”, poteva essere individuata anche per la produzione delle sue noci!

Questa affermazione è stata una sorpresa derivata dalla lettura del libro del cardinale Gianfranco Ravasi, “Giuseppe, il padre di Gesù”, che peraltro ne aveva già accennato in un articolo pubblicato sulla rivista “Jesus” (n. 6, giugno 1997), passato inosservato non soltanto a me ma evidentemente anche ad altri cultori di storia sorrentina.

Nino Cuomo

Nino Cuomo

Sul presupposto che le notizie dei genitori di Gesù, Giuseppe e Maria, nei Vangeli canonici, sono scarse, mentre molte se ne incontrano nei vangeli e negli scritti apocrifi, in una lettera apocrifa – rinvenuta nel Medioevo ed attribuita al proconsole romano Gneo Cornelio Lentulo – si rinviene questa descrizione di Gesù: “Statura alta, ben proporzionato, capelli dal colore delle noci di Sorrento mature, dritti fino alle orecchie, increspati in giù con ricci chiari e lucenti, ondeggianti sulle spalle. Fronte liscia e serena, viso senza rughe o macchie, abbellito da un tenue rossore, naso e bocca perfetti… Occhi azzurri, vivaci, brillanti. Barba abbondante e bipartita, dello stesso colore dei capelli…”.

Ovviamente, con tutto il rispetto (e l’affetto) per monsignor Ravasi, ho svolto – per curiosità – alcune indagini, cominciando dagli “Annali” di Tacito. E ho trovato molte citazioni di Gneo Cornelio Lentulo, proconsole appartenente ad una famiglia romana derivante dalla gens Cornelia con l’aggiunta di Lentulo, perché sviluppava il commercio delle lenticchie (in latino “lens, lentula”). Fu governatore dell’Africa dal 6 d.C., dopo essere stato console combattendo come legato nella Pannonia, contro i Daci, i Sarmati e i Geti e ricevendo gli “ornamenta triumphalia”. Quando fu in Palestina avrebbe redatto il citato rapporto al Senato a Roma sulla situazione, descrivendo la figura del Redentore. Alle dirette dipendenze dell’imperatore Tiberio, quando si trasferì a Capri, percorreva, spesso, il tratto dall’isola a Sorrento. Così si può spiegare la conoscenza delle noci di Sorrento e la sua descrizione comparativa con il colore dei capelli di Gesù.

Noci di Sorrento

Noci di Sorrento

Dopo aver consultato numerosi testi storici, da Mingazzini e Pfister a Mario e Vincenzo Russo, da Cesare Molignano al Parrino, da Carlo Merlo a Franca Assante, ho potuto rilevare che solo nell’800 si è iniziato a parlare di noci, coevamente al gelso che veniva coltivato per l’allevamento del baco da seta. La coltivazione del noce fu incrementata coevamente a quella degli agrumi (che sostituirono i gelsi) per la difesa (insieme alle piante di ulivo alte) contro i venti e le avversità atmosferiche. Oggi, invece, si è appreso – mediante la citazione di monsignor Ravasi – che anche le noci erano famose fin dall’antichità e, nei primi anni dell’era cristiana (all’epoca della vita di Cristo), le noci di Sorrento erano talmente famose che il loro colore era stato preso a paragone per indicare quello dei capelli del Figlio di Dio fatto uomo.

La noce di Sorrento ha raggiunto grande rinomanza commerciale nel secolo scorso, quando si riuscì a presentarle “timbrate” (noce per noce) per garantirne la qualità. Oggi la produzione delle noci di Sorrento è molto diminuita sia per una malattia che ha attaccato gli alberi nella zona di maggiore sua proliferazione, quella di Vico Equense sia per il loro abbattimento fra gli agrumeti, per la migliore efficacia difensiva con la copertura con pali e pagliarelle.

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