Frane e dissesti in costiera sorrentina. Il Wwf: Colpa dell’abusivismo – foto –

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Quanto costa alla comunità il fenomeno dell’abusivismo edilizio? Sono gli effetti, previsti e prevedibili, a medio e lungo termine, dell’abusivismo edilizio. Allo scempio paesaggistico-ambientale delle opere non autorizzate si aggiungono le conseguenze di crolli e frane.

Nel caso di Villa Gemma, immobile già “oggetto di ordinanza di sgombero”, le prime avvisaglie di cedimento del muro di contenimento sulla strada (via Colli di Fontanelle) si erano avute nel luglio della scorsa estate. Oggi il cedimento è completo: e se nel momento stesso dell’evento franoso fosse transitato qualcuno? Se un agronomo dice che un albero, forse, secondo lui è a rischio, lo si abbatte immediatamente, ma se un geologo avverte di rischi di crollo ben più gravi, perché non lo si ascolta per tempo e con uguale preoccupazione?

La verità è che gli alberi non interessano più di tanto ai politici, mentre per il fenomeno dell’abusivismo, nel nostro turistico meridione, in balia di motoseghe e betoniere, c’è sempre una levata di scudi corale quando qualcuno ipotizza, anche solo lontanamente, ruspe e sgomberi in aree classificate dall’Autorità di Bacino ad alto rischio frana o alluvionale. Ed ecco che intere case, manufatti e strade, sorte abusivamente come funghi, costruite in veri e propri “impluvi” o nei pressi di falesie instabili, aspettano che l’ineluttabile si avveri.

Quando si perizia un albero taluni agronomi citano spesso il rischio che i cambiamenti climatici, con eventi meteo sempre più frequenti e intensi, possano abbattere le piante; tuttavia quando si edifica in zone R4 ci si dimentica di quegli stessi cambiamenti climatici (indotti anche dalla deforestazione) che causano piogge e temporali sempre più violenti?

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E ad ogni stagione delle piogge, puntuale come la Befana il 6 gennaio, viene giù un pezzo di penisola: il crollo di via Formiello, i crolli della Strada Statale 163 Amalfitana, quelli delle abitazioni ai Colli di San Pietro posti su di un terreno geologicamente instabile, quello della via Ponte Orazio tra Piano di Sorrento e Meta, la storica frana di via Fontanelle al Capo di Sorrento o la recente frana del versante di Picco Sant’Angelo, sono solo alcuni dei tanti episodi, che ci fanno riflettere sulla precarietà e fragilità del territorio dove viviamo e che ci illudiamo di manomettere in eterno.

Eppure che quando scende l’acqua dal cielo (gli antichi dicevano “piove che Dio la manda”) e nel nostro territorio seguono con puntualità svizzera frane e smottamenti, allagamenti e dissesti, è cosa ormai storica, risaputa e documentata. E dopo la tragedia appare, come da copione, la “parola chiave” che rende possibile ogni successivo investimento e intervento: “somma urgenza”. Spesso la soluzione è peggiore del male stesso, e la medicina finisce per condannare definitivamente il malato.

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Nel dossier inviato dalla Polizia alla Procura di Torre Annunziata e al dirigente della Provincia, alcuni anni fa, prima della pioggia e del dissesto dell’area stabiese (ripetutosi negli anni), si leggeva “frane e smottamenti sono causati da sversamenti ed emissioni illegali e sistemi fognari di fortuna causati dal crescente fenomeno dell’abusivismo nella zona collinare stabiese”.

Succede infatti che la trasformazione irrazionale e senza regole del territorio, operata a monte, si ripercuota poi inevitabilmente a valle. È come un complesso gioco del “domino”, dove togliendo o spostando uno o più tasselli si finisce per compromettere l’equilibrio precario anche di tutti gli altri. L’acqua, poi, ha dei percorsi e delle dinamiche difficili e complesse da prevedere, soprattutto per chi deve tirare su muri, strade e case abusive in tempo record.

Nell’orografia del nostro territorio, attraverso millenni, si sono formati alvei, canali, canyon e forre, atti a convogliare e scaricare verso mare le preziose acque meteoriche. Successivamente l’uomo si è arrogato il diritto di modificare la Natura a suo profitto e piacimento, incurante delle più elementari regole di prudenza e degli effetti che azioni sbagliate avrebbero avuto sul suo stesso territorio.

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Si è persa negli ultimi tempi la capacità (che avevano i nostri nonni) di collegare le cause agli effetti. E allora via libera agli sbancamenti, al taglio di alberi, alla captazione di acque e alla cementificazione di alvei e montagne. Accade quindi che la Natura, modificata irreversibilmente e troppo velocemente, cambia non le sue regole, che sono sempre le stesse (i fiumi scendono verso il mare e il terreno e le rocce non trattenute cadono dall’alto verso il basso), ma i suoi equilibri ormai drasticamente violati. Se a ciò si aggiunge l’esistenza di aree geologicamente pericolose da sempre, dove l’homo sapiens ha deciso di andare a costruirsi casa incurante del rischio, allora la situazione si complica ulteriormente!

“Il nostro” come scriveva Antonio Cederna “è ormai un paese dalla topografia provvisoria, anzi, un paese a termine. Un’antica e radicata malformazione mentale induce a considerare il territorio una terra di conquista da manomettere, nell’assoluta ignoranza delle sue caratteristiche!”.

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Il Wwf da anni documenta e testimonia quello che quotidianamente accade, denunciando anche le responsabilità della politica, spesso incapace, o non interessata, a risolvere le emergenze ambientali che affliggono il nostro territorio.

Che la nostra penisola sia una zona a grave rischio idrogeologico (nonché sismico) e ad alta franosità e instabilità di versante, tutti lo sanno, ma stranamente se ne ricordano solo a “catastrofe” avvenuta. Tanto, alla fine, dopo lo “sconquasso”, arrivano i soldi e tanti messi a disposizione per i fantomatici interventi di messa in sicurezza. E via con le reti, briglie e quant’altro, ovunque e comunque, dimenticandosi dell’ingegneria naturalistica che pure esiste, anche a costo di perdere un paesaggio unico al mondo, che tutti ci invidiano e che è la fonte primaria della stessa economia della nostra costiera. Ormai “l’ordinario” (la chiamavano manutenzione) non sembra più interessare i nostri amministratori che si svegliano solo quando arrivano i miliardi per le opere faraoniche extra-ordinarie.

In questi ultimi anni siamo stati spettatori, in tutto il territorio della penisola sorrentino-amalfitana, di frane, smottamenti e allagamenti. Qualche anno fa a Punta Campanella, sotto la frana che costò la vita a 10 persone nel ’73, si sono spesi quasi 2 milioni di euro per far transitare i “disabili” lungo un sentiero, divenuto praticamente carrabile dopo i lavori. Allo stesso modo, sempre a Massa Lubrense, non è mai cessato il transito estivo di autovetture, pulmini e quant’altro per raggiungere la magica “Conca del Sogno” a Recommone, direttamente nell’alveo di un torrente tanto che vuoi che succeda gli eventi disastrosi in quel torrente accadono ogni 70 anni. Sembrerebbe che alla fine sono solo gli alberi pronti a cadere “ad horas”?

A Marina Lobra a Massa Lubrense l’amministrazione, allora guidata da Leone Gargiulo, si battè con forza per realizzare una mega cementificazione del borgo marinaro in area a rischio frana, nonostante le opposizioni degli ambientalisti. Ci volle una sentenza del Consiglio di Stato, scaturita dal diniego dell’Autorità di Bacino, a chiarire che l’incolumità delle vite umane viene prima di ogni investimento economico. Di diverso parere è stata invece l’amministrazione uscente di Sorrento che ha permesso, nonostante gli accorati appelli delle associazioni ambientaliste, che operai lavorassero per mesi impunemente, e pericolosamente, nell’alveo del Vallone dei Mulini, dove le pietre crollano dall’alto.

La tragedia di Atrani portò alla ribalta i reali rischi che la costiera intera corre per il dissesto idrogeologico alla quale è sottoposta. Ma ha anche portato alla luce le gravi responsabilità dell’uomo e l’allarme, da troppo tempo ignorato, della necessità di manutenzione e pulizia ordinaria degli alvei assieme alla conservazione delle aree boschive e coltivate lungo le aste fluviali.

Non c’è bisogno di opere maestose e faraoniche bensì abbiamo bisogno di controlli continui e piccole opere di difesa offerte spesso dall’ingegneria naturalistica in aree dove l’emergenza è reale. Ma, ahimè, visto il fermento in aumento di betoniere, ruspe e motoseghe, frenetiche dal mare ai monti, dubito che questo possa realmente accadere.

Nel frattempo a Sant’Agnello nei pressi del Vallone San Vito, in area a rischio idrogeologico, si è autorizzato, a monte, un orrendo mostro su tre livelli spacciato per “casa di riposo” e, immediatamente sulla destra fluviale a valle, una strada per un megaparcheggio a raso attualmente in costruzione.

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