La processione nera, una toccante tradizione che si ripete anno dopo anno

Foto di Carmine Galano

SORRENTO. Sono le 16:30 quando i confratelli aprono le porte della chiesa dei “Servi di Maria”, la casa della processione del Venerdì Santo. Il controllo degli abiti all’ingresso è come al solito minuzioso: scarpe, calzini, guanti, tutto, ma proprio tutto, deve essere rigorosamente nero. Sopra le scale, sulla destra, in una piccola stanza il comandante Di Leva prende come è tradizione le misure per le vesti: una 45, una 50, scapolare grande, scapolare piccolo solo per bambini. Storie che si ripetono anno dopo anno, sempre alla stessa maniera, solo con qualche capello bianco e qualche ruga in più.

Foto di Carmine Galano

Foto di Carmine Galano

Dopo poco tutti arrivano e si inizia un valzer infinito di strette di mano, saluti e pacche sulle spalle. Persone che si rivedono a distanza di un anno, che subito iniziano a rimembrare le storie delle processioni passate. I più piccoli ascoltano, mentre i grandi raccontano aneddoti. Nel frattempo lungo l’ala che affaccia sul corso Italia, qualcuno fuma una sigaretta, altri aspettano con trepidazione che la processione inizi. Ci sono persone arrivate dall’Inghilterra, dagli Stati Uniti, dalla Spagna. Sorrentini che lavorano all’estero, che come ogni anno tornano a casa per la Pasqua, o meglio, per il rito delle processioni.

Alle 19 il priore prende la parola dall’altare e inizia a chiamare i portatori del Cristo e della Madonna. Intanto i più piccoli fanno a gara per accaparrarsi un martirio o un fiocco. Storie che si ripetono anno dopo anno, sempre alla stessa maniera, solo con qualche capello bianco e qualche ruga in più. 

Ci siamo, i primi lampioni escono lungo via Sersale. File da quattro, distanti poco più di un metro. Mai come quest’anno, Sorrento è davvero bellissima. Sarà il fascino delle candele sul Bastione di Parsano, o la magia che solo quelle vesti nere sanno regalare, ma tutto sembra essere perfetto, da immortalare.

Gli stranieri si accalcano lungo gli angoli delle strade, armati di macchine fotografiche, Ipad, Iphone ed altre diavolerie elettroniche. Nel silenzio solenne di quei passi lenti, si sente vociferare in tedesco, francese, cinese, russo, inglese. Sorrento è sembra il centro del mondo. I flash entrano nei fori degli scapolari e tutto diventa buio.

Decine di migliaia le persone presenti, balconi pieni, e saracinesche dei bar abbassate. Tutti attendono il passaggio degli uomini incappucciati. Una Sorrento magica come mai in passato.

Foto di Carmine Galano

Foto di Carmine Galano

Quando in lontananza ricompare la cattedrale e la processione si avvia verso la fine, un pensiero vola in alto, a Giovanni Antonetti. Lui la processione la faceva ogni anno e come tutti noi, non vedeva l’ora di tornare in chiesa, per provare a portarsi a casa uno dei fiori benedetti, posizionati sotto la statua del Cristo. Anche questo è un rituale per chi vive la processione nera. E Giò Giò era bravo e come se lo era. Grosso com’era, con quelle spalle enormi, riusciva a farsi spazio tra i contendenti ed ogni anno prendeva sempre un piccolo mazzo di fiori. Poi mentre se ne andava, regalava alcune parti del suo bottino a chi non era riuscito a prendere nulla, a chi era stato meno fortunato.

Purtroppo questi resteranno ricordi, indelebili per chi c’era, ma purtroppo ricordi. Intanto le montagne di vesti superano il metro d’altezza e gli uomini in nero lasciano la chiesa. Storie che si ripetono anno dopo anno, sempre alla stessa maniera, solo con qualche capello bianco e qualche ruga in più.

 

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