A Marina Grande riapre il “monazzero” della famiglia Aprea

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SORRENTO. L’articolo che vi proponiamo è stato scritto da Luigi Garbo, un esperto della tradizione marinara della penisola sorrentina e grande conoscitore della storia di Marina Grande. Un grazie a Luigi e complimenti vivissimi a Vincenzo Aprea. Questa è una buona notizia per tutta la città di Sorrento e per la penisola.

Il maestro d’ascia, una volta era una professione di spicco dei vecchi cantieri navali, quando le imbarcazioni venivano ancora costruite interamente in legno.
Esperti dei vari tipi di legname ne riconoscevano l’essenza, l’uso, e, infine, la collocazione all’interno dell’imbarcazione. La loro bravura consisteva nel sagomare e adattare il ceppo di legno a quella che poi sarebbe stata la sua definitiva funzione (ordinate, madieri…). Tale operazione di sagomatura era appunto fatta con un attrezzo chiamato ascia.maestri-d'ascia2

La grande tradizione dell’artigianato del gozzo sorrentino oggi è portata avanti da pochi “eroici” grandi maestri d’ascia.

A Marina Grande, ieri 19 ottobre, in controtendenza per i nostri tempi, Vincenzo Aprea ha riaperto l’antica bottega artigianale del gozzo sorrentino.
Bottega che vide prima il nonno, poi lo zio ed il papà, “creare” vere e proprie “opere d’arte” che hanno solcato e solcano ancora le onde non solo della penisola sorrentina, ma di tutto il modo.

La penisola sorrentina era già nota nel mondo della marineria, fin dai tempi dell’impero romano, ma fu a partire dal XIII secolo che si sviluppò, lungo le coste della terra delle sirene una vera e propria attività cantieristica artigianale.

Non potendo disporre di porti particolarmente ampi ed adatti a ricoverare imbarcazioni di grandi dimensioni, in ogni caso, gli artigiani sorrentini, considerati veri e propri maestri d’ ascia, si concentrarono sullo sviluppo di barche di dimensioni relativamente piccole.maestri-d'ascia27
Tra queste, ancora oggi, mantiene un posto di riguardo la produzione del gozzo, anche se si tratta di qualcosa di estremamente prezioso e di non accessibile a tutte le tasche.
Grazie ai segreti ed alle metodologie tramandate per via orale, infatti, i maestri d’ascia sorrentini, hanno individuato la formula più adatta per costruire imbarcazioni capaci di affrontare condizioni meteorologiche proibitive e, al tempo stesso, in grado di soddisfare tanto le esigenze di chi era interessato al trasporto di persone o merci, quanto di quelle dei pescatori. A questi ultimi spetta il merito di aver sfruttato ogni aspetto positivo delle tipiche barche sorrentine, utilizzandole per pescare con la “menaide”, la “guastaurellara”, con la “sciavica” (vari tipi di reti utilizzate soprattutto per la cattura del pesce azzurro e dei gastaurelli o per la pesca di profondità) e con le nasse (adoperate per la pesca di polpi, calamari e seppie).

Pur dalle forme molto dolci, i gozzi sorrentini hanno prua e poppa a punta, con la prima leggermente più alta della seconda per affrontare nel migliore dei modi il moto ondoso.
La scelta dei legni adoperati per costruirli, così come le geometrie da rispettare, soprattutto in passato, erano rigorosissime.
Per lo “scheletro”, infatti, era adoperato legno di quercia o di olmo, mentre per fasciare lo scafo si preferiva il pino marittimo.
Per costruire i loro capolavori, gli antichi maestri d’ascia seguivano quasi un preciso rituale. Essi, infatti, non solo si recavano personalmente nei boschi per scegliere gli alberi considerati più adatti, ma evitavano accuratamente ogni periodo che non fosse invernale ed in epoca di luna calante.
La stagionatura del legname nelle grotte di tufo (ben arieggiate e dunque ideali per la stagionatura del legno) era solo una delle fasi che preludevano la materiale costruzione dei gozzi.
Quasi come a voler completare un rito e, comunque, a testimonianza della grande devozione religiosa nutrita a livello locale – ogni imbarcazione non veniva considerata finita se prima non fosse stata dotata di un crocefisso da installare a poppa.
Le evoluzioni di mercato, l’eccessiva quantità di lavoro richiesta per realizzare questo genere di imbarcazioni (con oneri economici evidentemente molto elevati) e le mutate esigenze, hanno fatto sì che questa preziosissima forma di artigianato, con il tempo, corra il rischio di estinguersi. I cantieri più tradizionali sono ormai rarissimi, ma non mancano aziende che, grazie alla loro capacità di coniugare le antiche tradizioni con le più moderne tecnologie, hanno iniziato a produrre i gozzi sorrentini del terzo millennio che risultano essere particolarmente ambiti e ricercati.
Un grande in bocca al lupo a Enzo ed ai pochi “Mast’rasc” che ancora resistono e portano avanti l’antica tradizione cantieristica del gozzo sorrentino in legno.

di Luigi Garbo

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