Arriva a Sorrento Chiara Vigo, ultimo maestro del bisso marino

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SORRENTO. Chiara Vigo conserva nella maestria delle mani una sapienza arcaica, tramandata nella sua famiglia da trenta generazioni in modo iniziatico, medianico, velatamente sciamanico. Ha 60 anni, è sarda, ha due figlie, ed è l’unico Maestro riconosciuto rimasto al mondo e depositario dei segreti del rito tradizionale della plurimillenaria raccolta e lavorazione del bisso marino: una sorta di impalpabile e cangiante “seta” mediterranea, pressoché impercettibile al tatto e ricavata dai filamenti secreti da un raro e grande mollusco bivalve, la Pinna Nobilis (nota come “nacchera”), protetta dal 1992 dall’Unione Europea perché in via di estinzione.

Una fibra naturale, che oltre a vestire più di settemila anni fa sovrani, sacerdoti e poi personaggi biblici della valle mesopotamica, è anche la materia iridescente del tessuto di bisso marino della Veronica (“vera icona”), conservata nel santuario abruzzese di Manoppello e che reca sorprendentemente impresso, a colori e a grandezza naturale, il volto del Cristo perfettamente combaciante con il sudario della Sacra Sindone.

Un’aura di laica sacralità si percepisce intorno alla figura di Chiara Vigo, non a caso dichiarata dall’Unesco “Patrimonio Immateriale dell’Umanità” e oggetto, di recente, di studi e di interesse mediatico. E sarà proprio lei la guest star di una delle sessioni speciali di apertura del Simposio internazionale della Canadian Society for Italian Studies, in programma presso l’Istituto Sant’Anna di Sorrento durante il week-end del solstizio d’estate, da domani a a domenica, dove confluiranno 230 studiosi provenienti da Usa, Canada, Australia e alcuni Paesi europei chiamati a confrontarsi proprio sui “Maestri” di eccellenze, passate e presenti, dell’Italia ma anche ad indagare il nuovo Grand Tour degli stranieri nel nostro Paese, oltre che l’attuale ruolo creativo degli italiani all’estero.

Maestro vivente tra i tanti italiani di ogni campo di un passato glorioso e più o meno remoto, Chiara Vigo sarà così presente venerdì alle 18 a Sorrento con Susanna Lavazza, giornalista e scrittrice che su di lei ha pubblicato prima un e-book di taglio divulgativo (“Dal buio alla luce. Il bisso marino e Chiara Vigo”, edito da Cartabianca e tradotto anche in inglese e in tedesco) e, nel 2014, un volume bilingue, illustrato da 150 foto artistiche, intitolato “Chiara Vigo l’ultimo maestro di bisso” (edizioni Carlo Delfino), dal quale sono anche tratte alcune delle immagini oggetto, in Costiera, di una mostra di foto del poeta dell’obiettivo Luigi Garavaglia, ritrattista della Vigo ma anche testimone iconografico della nascita e lavorazione del preziosissimo tessuto visibile, oggi, in alcuni dei più prestigiosi musei del mondo che espongono alcuni dei 54 lavori realizzati (al ritmo di uno ogni cinque anni almeno) dalla ieratica, tenace e coraggiosa Signora del “filo d’acqua”.

Con loro, anche Rossana Cingolani, autrice di un documentario su Chiara Vigo che racconta la suggestione di un percorso ammirato in tutto il mondo e che in Giappone, Paese particolarmente attento al valore della trasmissione di antiche tradizioni in estinzione, sarebbe valso alla Vigo il titolo di venerabile Living National Treasure, “Tesoro Nazionale vivente”. Questa sessione dell’articolato Simposio internazionale è stata organizzata da Paola Bernardini, giornalista di lungo corso e studiosa dell’università di Toronto, in collaborazione con Rita Librandi, storica della lingua italiana dell’università L’Orientale di Napoli, che hanno coinvolto a discutere sul “fenomeno Vigo” nel giornalismo narrativo anche Franco Siddi, presidente dell’Osservatorio TuttiMedia della Fnsi.

Perché il “caso” Chiara Vigo, custode consapevole di un patrimonio di oralità e gestualità ancestrali vincolato dal “giuramento del mare”, nel pieno rispetto del suo respiro profondo e del valore archetipico della vita che veicola, non incuriosisce soltanto specialisti e appassionati. Addita anche un altro modo (e ritmo) possibile di vita, più in sintonia con il creato e le creature. E interpella chiunque scelga di andare in direzione ostinata e contraria alla dilagante mercificazione e violenza del mondo.

“Io non sono un artigiano, e non sono un’artista, perché la mia specialità è sacra”, ama ripetere Chiara Vigo: “il bisso non si vende e non si compra perché è un bene dell’umanità, dunque non mi appartiene. I maestri lo ereditano, lo filano e lo tessono per la collettività, vivono di offerte, si alzano alle tre del mattino, pregano per la pace nel mondo e vivono perché i bambini siano sempre accolti”. Non sono parole retoriche: Vigo le pratica con adamantina e incrollabile coerenza. Fedele alla litania del suo giuramento: “Ponente, Levante, Maestro e Grecale/ prendete la mia anima e/ buttatela nel fondale/ che sia la mia vita/ per Essere, Pregare e Tessere/ per ogni gente/ che da me va e da me viene/ senza tempo, senza nome, senza colore, senza confini,/ senza denaro/ in nome del Leone dell’Anima mia e/ dello Spirito Eterno/ così sarà”. Perciò Chiara rifiutò con gentile fermezza, nel 2001, ben 2 miliardi e mezzo di vecchie lire offerti dai giapponesi per una sua opera in omaggi al femminino, “Il Leone delle Donne”, un prezioso arazzo ricamato con un bisso pescato da sua nonna nel 1938.

Inconcepibile, per lei che da quando era bambina, al seguito della nonna Leonilde Mereu, a sua volta maestro di bisso e fine artista di arazzi, ha superato tante dure prove di iniziazione al mondo magico della seta del mare: dalle immersioni in apnea, a 13 metri di profondità, con la luna nuova nel mese di maggio, per portare con delicatezza in superficie sulla terraferma appena 300 grammi di filamento grezzo, trasformabili in 30 grammi di filo pulito e in 14 metri di filo ritorto; attraverso la paziente e complessa cardatura, lavorazione e tessitura della lieve secrezione delle “nacchere”, molluschi che in 25 anni di ciclo vitale nelle praterie di alghe “posidonia” possono superare la lunghezza di un metro e che Chiara manipola con un antico fuso e tesse con le unghie lunghe nel lino su un telaio arcaico in legno, canne e corde, fino a realizzare tessuti, ricami e manufatti che, a parte la finezza di ogni dettaglio, hanno la particolarità, se esposti alla luce del sole, di assumere una lucentezza dorata.

Il filo di bisso, infatti, prende il colore più scuro del bronzo in penombra e quello dell’oro piena luce, mentre è quasi invisibile se esposto in controluce. Lo si può verificare non solo a Manoppello, dove il bimillenario bisso marino sul volto del Nazareno racconta il Mistero cristiano nel mistero di un’arte millenaria giunta in Sardegna dal popolo dei Caldei attraverso la principessa Berenice, ma anche in quei musei dove sono esposte le opere di Chiara Vigo: tra i quali il Louvre di Parigi, il British Museum di Londra e altri di Basilea, Calcutta, Washington e Roma. Un lavoro di infinita pazienza, accompagnato da Chiara Vigo da canti ancestrali che evocano sonorità aramaiche e nuragiche, ma che pongono la Signora del bisso fuori dal tempo, anzi. Semmai, in un tempo dell’Origine sul quale vale la pena di riflettere. Magari – perché no? -, con una visita di persona nella periferia incantata di Chiara Vigo. Come fanno migliaia di persone di tutto il mondo che ogni anno vanno in pellegrinaggio al suo Museo-laboratorio del Bisso, con accademici che da Australia, Usa, Svizzera, Francia, Israele (in particolare rabbini paleografi ed epigrafisti) chiedono di conoscere e studiare la sua arte, con studenti universitari che svolgono su di lei le loro tesi di laurea.

Sulla porta del Museo-laboratorio di Chiara Vigo, in una stanza spartana annidata sull’isola di Sant’Antioco a Sud-Ovest della Sardegna, due cartelli manoscritti informano cortesemente i visitatori di tutto il mondo sullo spirito che anima la meta del loro viaggio, chiarendo il genius loci che dimora nel sito: “La fretta non abita qui”. E, giusto per chiarire ulteriormente: “In questa stanza non si vende NIENTE”. Un’inattuale elogio della lentezza, e del disinteresse, che non guasta nell’era della simultaneità mercantile.

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